Comunione in ginocchio: devozione autentica o gesto polemico?

Il blog filotradizionalista Messainlatino ha recentemente pubblicato un articolo che invoca il ritorno alla Comunione ricevuta in ginocchio. A nostro avviso, si tratta dell’ennesima manifestazione di una tendenza diffusa in certi ambienti tradizionalisti: quella di far coincidere la fede e la devozione con gesti esteriori, elevandoli a segni di autenticità spirituale. Secondo questa visione, inginocchiarsi per ricevere l’Eucaristia sarebbe espressione di maggiore rispetto e profondità di fede. Ma è davvero così?

La fede cristiana non si misura nella postura del corpo, ma nella disposizione del cuore. L’Eucaristia è il vertice della vita cristiana, e ciò che conta è accostarsi ad essa con consapevolezza, amore e umiltà. Ridurre la devozione a una questione di gesti visibili rischia di svuotare il significato profondo del sacramento, trasformandolo in una rappresentazione formale più che in un incontro reale con Cristo.

È necessario affermarlo con chiarezza: la Comunione in ginocchio non è una prassi delle origini cristiane. Nei primi secoli, i fedeli ricevevano il Corpo di Cristo in piedi, sul palmo delle mani, spesso con le mani disposte a forma di croce. San Cirillo di Gerusalemme, nel IV secolo, raccomandava: “Fai della tua mano sinistra un trono per la destra, che deve ricevere il Re, e accogli il Corpo di Cristo nella cavità della tua mano” (Catechesi Mistagogica V). L’uso di inginocchiarsi durante la Comunione si è diffuso solo tra l’XI e il XVI secolo, consolidandosi dopo il Concilio di Trento (1545–1563), in un contesto di reazione alla Riforma protestante. Pensare che nel 1575 si fosse più devoti all’Eucaristia rispetto alla Chiesa dei primi secoli è storicamente e teologicamente infondato.

In alcuni casi, la scelta di ricevere la Comunione in ginocchio assume un significato polemico o identitario, come gesto di distinzione rispetto agli altri fedeli. Questo atteggiamento, che tende a marcare una presunta superiorità spirituale, è sintomo di una visione distorta della fede. La Messa non è un atto di devozione privata, ma un’azione comunitaria, un’assemblea del Popolo di Dio che celebra insieme il mistero pasquale. Come ricorda il Concilio Vaticano II: “La liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua forza” (Sacrosanctum Concilium, n. 10).

Il Messale Romano (n. 160) stabilisce che la Comunione può essere ricevuta in piedi o in ginocchio, lasciando alle Conferenze Episcopali il compito di fornire indicazioni pastorali. La CEI, ad esempio, raccomanda la ricezione in piedi con un gesto di riverenza, valorizzando la dimensione comunitaria e il cammino processionale verso l’altare. Alla luce di tutto questo, auspicare un ritorno generalizzato alla Comunione in ginocchio non solo è fuori luogo, ma è anche pastoralmente e teologicamente errato. Pastoralmente, perché rischia di creare divisioni e giudizi tra i fedeli, alimentando una spiritualità competitiva e non inclusiva. Teologicamente, perché ignora la varietà delle tradizioni liturgiche e la centralità dell’assemblea eucaristica come corpo vivo di Cristo.

La vera devozione non si manifesta nella postura, ma nella profondità della fede. L’Eucaristia è incontro vivo con Cristo, non una coreografia liturgica. La Chiesa dei primi secoli viveva l’Eucaristia con una consapevolezza e una semplicità che dovremmo riscoprire oggi, senza nostalgie né contrapposizioni.







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