La Chiesa che verrà: fine delle nostalgie, inizio del cammino

Non è più tempo di nostalgie. Non è più tempo di illudersi che, riproponendo forme del passato, si possano riempire le chiese e ravvivare una fede che oggi chiede ben altro. Una stagione del cattolicesimo — quella della cristianità sociologica, della fede ereditata, della pratica religiosa come abitudine — è tramontata. E non tornerà.

La Chiesa del futuro non sarà quella delle folle indistinte, ma quella dei piccoli numeri, dei cuori convertiti, dei cammini autentici. Sarà una Chiesa catecumenale, dove la fede non è più data per scontata, ma scelta, cercata, maturata. Dove il Battesimo non sarà più un semplice rito d’ingresso, ma l’inizio di un percorso esistenziale.

In questo scenario, il Cammino Neocatecumenale si rivela un vero pioniere. Da decenni ha tracciato una linea che oggi appare profetica: quella di una Chiesa che accompagna, che forma, che evangelizza attraverso la vita concreta delle persone. Una Chiesa che non presume la fede, ma la rigenera. Che non si accontenta di sacramenti distribuiti, ma cerca discepoli consapevoli.

Il Cammino ha mostrato che è possibile vivere la fede in piccole comunità, radicate nella Parola, nella liturgia e nella missione. Ha anticipato una Chiesa che non si misura in numeri, ma in frutti spirituali. Una Chiesa che non si rifugia nel passato, ma si apre al futuro con coraggio.

La fede del futuro dovrà essere adulta, non infantile. Scelta, non imposta. Testimoniata, non semplicemente praticata. Per questo, la Chiesa dovrà essere mistagogica, capace di introdurre gradualmente al mistero, senza semplificazioni né rigidità. Dovrà essere missionaria, capace di parlare a chi è lontano, senza giudicare. Dovrà essere paziente, perché i cammini veri non si improvvisano.

Ricordo che il mio vecchio parroco diceva spesso: Vedrai, Dio farà sorgere un santo, o qualcosa di straordinario, per rinnovare la Chiesa. Un pensiero sincero, ma che oggi sento distante. È il riflesso di una visione ecclesiale superata, quella miracolistica, che attende interventi straordinari dall’alto per risolvere crisi profonde.

Ma forse il miracolo più grande non sarà un santo solitario, né un evento clamoroso. Il vero miracolo sarà la nascita della Chiesa Comunione, quella tanto auspicata dal Concilio Vaticano II. Una Chiesa dove ogni battezzato è protagonista, dove la corresponsabilità è reale, dove la fede è condivisa e vissuta insieme. Una Chiesa che non delega la santità a pochi, ma la cerca in tutti.

La Chiesa catecumenale non sarà una sala d’attesa per chi “prima o poi tornerà”. Sarà una porta aperta per chi cerca, per chi ha fame di senso, per chi vuole camminare. Sarà una Chiesa che non si lamenta per ciò che ha perso, ma che ringrazia per ciò che può ancora generare.




Commenti

Anonimo ha detto…
Bellissima riflessione, che condivido al 100%.
Il Cammino è stato davvero un’opera dello Spirito per favorire quel rinnovamento nella Chiesa tanto auspicato dai Padri conciliari. Per decenni molte parrocchie hanno preferito vivere di rendita, affidandosi a un numero di fedeli che oggi è sempre più scarso. Solo adesso alcune diocesi cercano, a volte disperatamente, di rinnovare la pastorale con proposte come i gruppi della Parola, la formazione di catechisti per adulti, la riscoperta dei sacramenti e iniziative simili.
Intere parrocchie, che si erano ridotte a semplici “comitati della sagra paesana”, stanno ormai scomparendo. I sacerdoti si trovano spesso a dover gestire tre o quattro parrocchie contemporaneamente, ridotti più ad amministratori di consigli pastorali litigiosi che a pastori del popolo di Dio.
Ne vedo tante di queste realtà, e sono sempre più convinto che il Cammino abbia anticipato i tempi di sessant’anni, formando comunità che, dopo anni di itinerario, possono finalmente mostrare al mondo i segni che esso più attende: l’amore tra i fratelli. è normale che il Demonio si scateni con una realtà come il Cammino, sopratutto da parti che si professano Cattoliche, ma come il Signore ci ha rassicurati, non prevarranno! Giuseppe
Osservatorio finito ha detto…
Quando ho parlato di parrocchia catecumenale, non intendevo affermare che nelle parrocchie debba esistere esclusivamente il Cammino Neocatecumenale. Piuttosto, auspicavo che esse assumano uno stile catecumenale, un modo di vivere la fede che accompagni gradualmente le persone verso una maturazione cristiana. Il Cammino Neocatecumenale è certamente una delle espressioni di questo stile, ma spero vivamente che non sia l’unica. Credo e confido che lo Spirito susciterà altre forme, altre vie ecclesiali capaci di incarnare lo stesso dinamismo di conversione e formazione.La figura della parrocchia come semplice dispensatrice di sacramenti sta lentamente tramontando. Non perché i sacramenti abbiano perso importanza — al contrario, proprio perché sono troppo importanti per essere vissuti superficialmente. Come ha affermato il Concilio Vaticano II, “i sacramenti non solo suppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la nutrono, la rafforzano e la esprimono” (Sacrosanctum Concilium, n. 59). È dunque necessario che siano ricevuti con consapevolezza e con una disposizione interiore autentica.A questo punto, alcuni critici del Cammino Neocatecumenale sollevano il concetto di ex opere operato, secondo cui il sacramento conferisce la grazia non per la santità del ministro né per la disposizione del ricevente, ma per la potenza propria del sacramento stesso, istituito da Cristo. È vero: questo principio, ribadito dal Concilio di Trento, garantisce l’oggettività dell’azione sacramentale. Come scrive san Tommaso d’Aquino: “I sacramenti agiscono ex opere operato, cioè per la forza propria del rito sacramentale.Tuttavia, la teologia contemporanea ha giustamente sottolineato che la disposizione del ricevente è fondamentale affinché la grazia santificante possa agire efficacemente. Senza questa apertura interiore, il sacramento rischia di essere vissuto come un automatismo, una sorta di “magia” che produce effetti a prescindere dalla libertà e dalla fede personale. La realtà ce lo conferma: molti battezzati, cresimati e comunicati non vivono la fede, e anzi ne sono lontani, se non apertamente indifferenti o atei. Questo non nega la validità del sacramento, ma mostra che senza un cammino di conversione e formazione, la grazia ricevuta rimane sterile, come il seme caduto sulla strada.
Osservatorio finito ha detto…
La fede cristiana non nasce da un automatismo sacramentale o da uno sfor intellettuale, ma da un incontro reale con Cristo. Senza questo incontro, tutto rischia di diventare una forma vuota, un’abitudine religiosa o, peggio ancora, un’ideologia. Come disse Benedetto XVI: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona." È proprio questo incontro che accende la fede, trasforma il cuore e dà senso ai sacramenti e alla vita ecclesiale. Purtroppo, almeno in certi siti pseudo-cattolici, e talvolta anche nelle nostre comunità parrocchiali, si vedono pochi segni di questo incontro. Si discute di norme, si polemizza su liturgie, si difendono posizioni teologiche, ma manca la testimonianza viva di chi ha incontrato Cristo ed è stato trasformato. Senza questo, tutto il resto perde significato. La Chiesa ha bisogno di cristiani che parlino di Cristo non solo con la mente, ma con la vita, perché solo l’incontro con Lui rende la fede autentica, credibile e feconda.

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